Saka Dawa significa letteralmente Quarto Mese e dato che il Capodanno buddista in Tibet e in Mongolia si celebra durante il novilunio che cade tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio, il quarto mese cade generalmente tra la fine di maggio e la prima metà di giugno, e proprio il 15° giorno del mese corrispondente si celebra in Tibet il Saka Dawa, detto anche Vesak. Si tratta di un evento molto importante per i buddisti tibetani che nei pressi di Darchen, sui prati dove il fiume Lha Chhu emerge nella pianura, ai piedi del sacro Monte Kailash, organizzano celebrazioni durante tutto il mese. Per assistere alle cerimonie i pellegrini arrivano da tutto il paese anche con parecchi giorni d’anticipo e portando spesso con sé merci da vendere. Si contano fino a 150.000 persone che formano un accampamento immenso e colorato.
Per l’occasione è uso di molti pellegrini il praticare il digiuno anche per 3 giorni, anche se la maggior parte si astiene per un periodo minore, durante i quali consuma un solo pasto. La cerimonia del Saka Dawa prevede che, nei giorni precedenti il plenilunio, il Tarboche dell’anno precedente, un altissimo palo adornato con le bandiere di preghiera, venga abbattuto per permettere la sostituzione dei vessilli durante la notte di preghiera. Nel suo libro “Alla ricerca di Shangri-La”, l’antropologo Charles Allen descrive così l’evento:
“Nella notte di luna piena del IV mese del calendario tibetano, la Montagna delle Nove Svastiche Sovrapposte brilla come una stalagmite in un cielo senza nubi. Nonostante il campo sia molto affollato, alle nove di sera il silenzio è totale. Si respira un’aria di attesa, di eccitazione contenuta che mi fa ricordare le vigilie di Natale di tanto tempo fa. La luce del giorno colpisce la nostra tenda alle sette in punto, ma sembra che tutti gli altri campeggiatori siano svegli e in piena attività già all’alba. Il fumo di centinaia di fuochi da campo si solleva come piccole piume che confluiscono in banchi di nebbia filacciosi sopra il fiume. Oggi è Saga Dawa. Dopo la colazione seguiamo la folla che si dirige verso un anfiteatro naturale a meno di 500 metri dal fiume e più in alto di almeno 300. Ci accoglie una visione straordinaria: due o tremila tibetani sono qui radunati, alcuni in piedi o accovacciati sulle pendici circostanti, ma la maggior parte stanno camminando in circolo intorno a un punto centrale. Sono talmente numerosi che sembrano una gigantesca ruota multicolore in movimento. Nello spazio aperto, all’altezza del mozzo della ruota, sta adagiato un enorme palo di preghiera in legno, fatto con diversi tronchi di pino posti uno sull’altro come il pennone di una nave. È interamente decorato con bandiere di preghiera dai colori brillanti, nuove di zecca; più o meno a metà sono attaccate quattro funi lunghe circa 600 metri, anch’esse completamente ricoperte di bandiere. Il darchen (il Tarboche) è rivolto rigorosamente verso nord e giace con la base adiacente a un buco al centro di un cumulo di pietre. Su queste pietre sta diritto il maestro di cerimonie, vestito di un magnifico abito di seta gialla con cintura rossa, che coadiuvato da un gruppo di aiutanti ha il compito coordinare la folla che deve issare il palo, chi tirandolo con delle funi, chi spingendolo con dei pali. Una dozzina di monaci dai berretti rossi, provenienti dal vicino monastero Kagyu a Gayangdrak, formano una banda di suonatori che soffiano in giganteschi corni alpini e conchiglie, e percuotono cimbali e tamburi. C’è anche un gruppo di monache buddiste che intonano preghiere e canti e si esibiscono in gesti rituali delle mani in perfetto sincronismo”.
“L’aria è impregnata del fumo dell’incenso acceso tutto intorno, mentre coloro che eseguono le circumambulazioni camminano senza sosta in una nuvola di polvere, facendo girare con le mani le ruote di preghiera. Su segnale del maestro di cerimonia si inizia ad innalzare il palo, c’è il gruppo che tira le funi, coloro che spingono con i pali e chi lo puntella per sostenerlo via via che si alza del terreno. Ad ogni strattone gli spettatori gridano Lha-so-so! Lha-so-so! Mentre gettano in aria foglietti di carta di preghiere. Nonostante che lo si tiri con quattro funi e ci siano almeno cento persone a tirare ogni fune, è necessario ad un certo punto attaccare due funi a due camion. È fondamentale che il palo entri nel buco del terreno dalla giusta angolazione in modo di essere collocato perfettamente verticale; se dovesse essere inclinato anche di pochissimi gradi ciò comporterebbe disastri e sciagure in Tibet per tutti i dodici mesi successivi. Quando, con un ultimo strattone, il Tarboche viene messo in posizione perfettamente verticale l’intero anfiteatro esplode in grida di Lha-so-so! e lanci di fogli di preghiere. Guidati dai monaci con i loro rauchi corni, gli spettatori scendono sciamando per unirsi alla circumambulazione e tutto il luogo diventa un impressionante vortice di polvere,colore e eccitazione.Al termine della cerimonia tutti fanno la coda per prostrarsi ai piedi del darchen. Lanciano in aria manciate di farina di stampa come offerta agli dei e avvolgono le sciarpe cerimoniali intorno al tronco o a una delle quattro funi di sostegno. In molti appoggiano per qualche istante la testa contro il tronco stesso per entrare in contatto con la forza vitale di cui è ora impregnato”.
Il Saka Dawa è anche una rara occasione di incontro: ragazzi e ragazze che provengono da comunità lontane e isolate possono conoscersi e sviluppare contatti che molto spesso sfociano in matrimoni, rendendo la festa sempre allegra con eventi e gare di abilità che mettano in mostra i partecipanti e creino per tutti occasioni di socializzazione. Il Saka Dawa è molto più di una celebrazione. Si tratta di una cerimonia molto sentita proprio per questo, perché parte integrante del tessuto sociale nepalese e tibetano e della filosofia buddista.
Per info Turismo Cinese
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