La fine di Saddam

IRAQ, LA PARABOLA DEL DITTATORE: DALLA GUERRA ALLA CATTURA, ATTRAVERSO LA VIOLENZA DELL'ISIS

Saddam Hussein nemico pubblico numero uno degli americani? No, non fu sempre così. Durante gli anni Ottanta i rapporti fra l’Iraq di Saddam Hussein e gli Stati Uniti furono sostanzialmente buoni per ragioni di realpolitik, cioè di pragmatismo e interesse politico, senza condizionamenti ideologici. Il regime laico di Saddam e del suo partito Bath, pur essendo brutale e vicino all’Urss (che forniva armi, sistemi missilistici e carri armati all’Iraq), era considerato un caposaldo contro la rivoluzione islamica iraniana. Saddam infatti bloccò in passato l’espansione iraniana e la rivoluzione degli ayatollah, con la guerra Iraq-Iran dal 1980 al 1988, tutelando gli interessi Usa e occidentali nella regione. Durante la guerra Iran-Iraq, Usa e occidente sostennero il regime di Saddam Hussein, con forniture militari. Ma Saddam restava un alleato scomodo, perché pur essendo utile al fine di bloccare l’espansione del fondamentalismo iraniano, al contempo era una minaccia per il suo “panarabismo” cioè l’obiettivo di creare una unità di tutti i Paesi Arabi.

Giocare su più tavoli, del resto, è sempre stata una delle caratteristiche della politica estera americana. L’Irangate (scandalo Iran-Contras) che colpi l’amministrazione Reagan ne fu una delle tante dimostrazioni. Irangate fu uno scandalo che nel biennio 1985-1986 coinvolse alti funzionari dell’amministrazione Reagan e militari, accusati di traffico illegale di armi con l’Iran, su cui vigeva l’embargo internazionale. L’attività aveva un triplice scopo: facilitare il rilascio di alcuni ostaggi statunitensi nelle mani di Hezbollah (storicamente legato all’Iran) in Libano; servirsi del ricavato per finanziare in modo occulto i Contras, ossia i guerriglieri antisandinisti nella guerra civile in Nicaragua; bilanciare il conflitto con l’Iraq al fine di prolungarlo e fiaccare entrambi i Paesi belligeranti: Iran e Iraq. Lo scandalo minò duramente la credibilità di Reagan.

Nell’agosto 1990 l’invasione irachena del Kuwait spinse gli USA e gli alleati, ad avviare la prima guerra del Golfo contro l’Iraq. Ma Saddam fu risparmiato da George Bush senior, che si attenne alla risoluzione dell’Onu e si fermò dopo la liberazione del Kuwait, evitando di invadere l’Iraq: abbattendo il regime di Saddam si sarebbe destabilizzata la regione. I tempi non erano maturi. Ma i rapporti con Saddam si erano di fatto deteriorati. Gli Usa di Bush senior, sotto l’egida dell’ONU imposero all’Iraq lo smantellamento delle presunte armi di distruzione di massa, affidato a squadre di ispettori dell’ONU, le no-fly zone per proteggere le minoranze curde a nord, rigide sanzioni economiche per mantenere una forte pressione sul regime di Saddam. La successiva amministrazione Clinton si attenne a questa politica di contenimento ma date le pesanti conseguenze delle sanzioni sui civili iracheni fu introdotto il programma Oil for Food, che permetteva all’Iraq di vendere una limitata quantità petrolio in cambio di generi di prima necessità.

Due eventi provocarono l’escalation della crisi nei rapporti fra Usa e Iraq: nel 1998 Saddam Hussein bloccò le ispezioni ONU, accusando gli ispettori di spionaggio a favore degli USA, che vennero espulsi e nel 2001 ci fu l’11 settembre che scatenò la guerra al terrorismo di Bush junior contro gli stati canaglia. La dottrina della guerra preventiva (o dottrina Bush) consentì agli Usa di avviare la campagna militare: non avrebbero atteso gli attacchi nemici, ma avrebbero usato la propria potenza militare per prevenirli, con o senza il mandato ONU che veniva di fatto delegittimato. Al termine della Guerra in Afghanistan, primo obiettivo della guerra al terrorismo di Bush junior, in quanto il regime dei talebani dava protezione e ospitalità a Bin Laden e ad al-Qaeda, l’attenzione sull’Iraq e sull’asse del male formato da stati canaglia cioè Iran, Iraq e Corea del Nord.

La guerra – Già prima della guerra, gli Usa schierarono grandi forze in Kuwait. L’invasione ormai pianificata fu ritardata di mesi a causa della controversia all’ONU (la Francia e altri Paesi erano assolutamente contrari al conflitto, considerate anche le commesse petrolifere e industriali che avevano in Iraq). La fase iniziale fu caratterizzata da un bombardamento massiccio: 30mila bombe e 20mila missili cruise ad alta precisione. A terra era schierato un esercito di circa 260mila uomini con mezzi blindati. L’esercito iracheno contava 400mila uomini (di cui circa 60mila Guardie Repubblicane), più circa 40mila feddayin di Saddam e 650mila riservisti. L’esercito iracheno era però male armato e scarsamente motivato e ci furono molte diserzioni. L’avanzata a terra fu rapida e americani e britannici conquistarono Bassora e poi Baghdad, dopo una dura battaglia nella città e nelle periferie. Le difese irachene crollarono i Curdi da nord entrarono a Kirkuk e infine cadde anche la città natale di Saddam, Tikrit. A pochi mesi dall’inizio, Bush proclamò la conclusione delle operazioni militari su larga scala in Iraq. Tuttavia da quel momento in Iraq vi fu una escalation di attacchi alle truppe americane.

Caccia ai leader del vecchio regime – 2004, Le forze di occupazione americane iniziarono quindi la caccia ai leader del regime di Saddam, cioè ai capi del partito Bath. I nomi dei ricercati in cima alla lista vennero associati alle figure del mazzo di carte da poker. L’arresto più importante fu quello di Saddam Hussein, mentre i figli di Saddam (Uday e Qusay) furono uccisi.

Il 2004 e l’Iraq del dopo Saddam – Saddam aveva favorito la minoranza sunnita e i clan della sua città natale, Tikrit, ai vertici di governo e questo aveva determinato forti contrasti etnici da parte di sciiti (oltre il 50% della popolazione) e i curdi (circa il 20%) completamente discriminati. Le forze di occupazione americane avevano però favorito il nuovo governo sciita generando l’ostilità dei sunniti che formarono gruppi armati che si allearono con l’organizzazione di al-Qaeda in Iraq, fondata da al-Zarqawi. Fra i gruppi armati ci fu quello di al-Sadr che controllava il popoloso sobborgo di Baghdad chiamato Ṣaddam City, a forte prevalenza sciita. Qui il suo esercito (l’esercito del Mahdi) uccise diversi soldati americani in teatri urbani di guerriglia.

L’Iraq dell’Isis – L’Isis è nata in Iraq, dopo la fine della guerra (nel 2003) che durò pochi mesi. Dal 2003 al 2011 ci fu l’occupazione americana dell’Iraq e contro le truppe di occupazione americane, degli alleati e contro il nuovo fragile governo iracheno si scatenò una guerriglia permanente, con attacchi, imboscate, attentati. In particolare dal 2004 al 2011 (anno in cui si completò il disimpegno Usa in Iraq e anno in cui gli americani dichiararono di aver ucciso in Pakistan Bin Laden) si intensificarono gli attacchi delle varie milizie contro le forze d’occupazione e si intensificò anche lo scontro tra sciiti e sunniti per il governo del Paese, con diversi attentati che provocano la morte di centinaia di persone. Proprio in questo periodo (nel 2004) nacque al-Qaeda in Iraq, che si trasformò in Isis nel 2006 con la guida di al-Baghdadi, il quale nel 2012 annunciò l’unione con la guerriglia siriana (in Siria quell’anno esplose la guerra civile) allargando lo Stato Islamico anche alla Siria (divenendo così pienamente “Isis” e non solo “Isi” cioè Islamic State of Iraq and Siria mentre fino a quel momento era solo Islamic State of Iraq – ma per convenzione lo chiameremo Isis) e provocando successivamente – soprattutto per la violenza delle azioni terroristiche – la rottura con il ramo originaio di al-Qaeda.

Nel 2014 l’Isis conquistò – compiendo terribili atrocità riprese e postate sui social, come quelle del boia Jihadi John – la città di Falluja e di buona parte occidentale dell’Iraq e della Siria orientale, espandendosi poi a nord e a est, conquistando le città di Mosul e Tikrit e spingendosi fino al Kurdistan. In questo periodo, rotti definitivamente i legami con al-Qaeda, al-Baghdadi proclamò la creazione del califfato (o Stato Islamico, IS). L’avanzata dell’IS venne frenata dai raid degli Stati Uniti e dalle milizie curde e sciite. A partire dal 2015, lo Stato Islamico cominciò a perdere terreno a causa dei raid aerei americani e della pressione militare sia dell’esercito iracheno sia dell’esercito siriano, consentendo la riconquista irachena di diverse aree, incluse le città di Tikrit, Ramadi e Falluja. Nel 2016 l’unica grande città di cui lo Stato Islamico manteneva il controllo era Mosul, considerata la “capitale” del Califfato in Iraq. Nel 2017 IS ormai definito dalla comunità internazionale con il nome di Daesh perse l’ultima roccaforte sulla frontiera con la Siria e venne dichiarato ufficialmente sconfitto in Iraq anche se nel periodo successivo continuarono gli scontri e gli attentati.

Gli abusi e le torture della guerra in Iraq – La guerra irachena fu combattuta con mezzi estremamente brutali. Le varie fazioni della resistenza compirono attentati e azioni terroristiche che provocano un gran numero di vittime civili, attacchi e imboscate alle forze Usa, della coalizione e del nuovo governo iracheno. Ma non solo: furono rapiti occidentali, ostaggi che furono poi assassinati (spesso davanti alle telecamere) come gli italiani Fabrizio Quattrocchi ed Enzo Baldoni (ricordiamo anche il filmato della decapitazione del civile americano Nick Berg). Le truppe della coalizione e gli alleati iracheni non furono certo immuni da colpe. Nella prigione di Abu Ghraib numerosi prigionieri iracheni della guerriglia furono torturati dai soldati americani. Anche sul campo non furono rispettate le regole di ingaggio: nel 2004 i raid aerei su Falluja distrussero la quasi totalità degli edifici della città senza tener conto della presenza di civili. Alcuni episodi sono oggetto di indagine, come l’esecuzione di civili iracheni disarmati da parte di truppe Usa, in risposta ad attacchi appena subiti. In tali casi si configurano crimini di guerra.

I rapimenti – Fra i numerosi rapimenti dal 2004 in poi ci furono quelli delle operatrici umanitarie Simona Pari e Simona Torretta, della giornalista de “il Manifesto” Giuliana Sgrena (2005), la cui liberazione fu funestata dalla morte dell’agente dei servizi segreti italiani Nicola Calipari, ucciso da soldati statunitensi mentre conduceva l’ex-ostaggio all’aeroporto.

Conseguenze della guerra in Iraq – La prima conseguenza dell’invasione fu la micidiale guerra civile che scoppiò in tutto l’Iraq. Dopo la caduta del regime (pochi mesi dopo l’avvio delle operazioni lampo militari) con la conquista americana di Baghdad, iniziarono le violenze (3700 vittime tra soldati americani e alleati). Con l’occupazione Bush assegnò il potere a un governo provvisorio militare con a capo il generale statunitense Paul Bremer. Sul campo operavano per la ricostruzione anche varie organizzazioni civili protette dai contractors (come i famosi operatori della Blackwater), professionisti della sicurezza che operavano accanto alle forze regolari Usa.

I due figli di Saddam, Uday e Qusay, furono uccisi da un bombardamento missilistico, Saddam fu invece catturato dalle forze speciali con un blitz a Tikrit all’interno di un suo rifugio sotterraneo. Preso in custodia dalle forze delle coalizione, fu consegnato al Tribunale speciale iracheno formato da suoi connazionali e condannato a morte per impiccagione sentenza eseguita nel 2006. Le perdite fra i civili iracheni sono calcolate fra le 60 e le 70 mila persone. Nel 2008 il costo complessivo dei 5 anni di guerra e occupazione in Iraq fu stimato in 500 miliardi di dollari.