MARIJUANA E POP CORN

Generazioni a confronto: Stati Uniti, anni Sessanta, quando droga e sesso erano (considerati) liberi. E oggi?

Stati Uniti, anni 60: le parole d’ordine erano anticonformismo, contestazione contro il sistema, no alla guerra in Vietnam. Erano gli anni della beat generation (prima) e degli hippie (poi), delle rivolte studentesche, delle grandi manifestazioni di piazza. Erano gli anni della droga e del sesso liberi o – sarebbe meglio dire – “considerati” liberi dai giovani che sfidavano una società borghese con i suoi stereotipi. Erano gli anni di musicisti e cantanti come Jimi Hendrix, Gim Morrison, Janis Joplin, morti tutti e tre a 27 anni, consumati e stroncati dalla droga. Erano gli anni delle proteste nelle università e della polizia che sparava e picchiava, che picchiava e sparava. Erano gli anni dei movimenti per i diritti civili dei neri, che venivano discriminati e segregati, massacrati dai bianchi razzisti, delle donne che cercavano disperatamente il loro posto nella società, degli omosessuali che cercavano di uscire dall’ombra, dal sottobosco sociale in cui si nascondevano. Anni difficili eppure carichi di carisma e di pathos, anni che segnarono una generazione. Certo, non la nostra, ma quella dei nostri genitori. Erano gli anni di Woodstock, 3 giorni di rock e marijuana nel 1969 per 500 mila giovani provenienti da mezza America. Erano anche gli anni delle droghe pesanti, quelle che uccidono. Erano gli anni dell’assoluta incomprensione fra padri e figli, dell’attivismo e della militanza politica delle nuove generazioni come la nostra di oggi (che però non fa né attivismo né militanza), gli anni dello stare insieme nelle comuni, cioè luoghi dove i ragazzi vivevano tutti insieme, ambienti che stridono contro lockdown e zone rosse ai quali siamo inchiodati nell’era del covid. Erano gli anni dell’incubo della guerra atomica, la terza guerra mondiale che avrebbe cancellato la razza umana e ogni altra specie vivente dal nostro pianeta. La parola d’ordine era rivoluzione. E la contro-parola d’ordine del sistema, cioè dello Stato e della società conformista nel complesso, era repressione. Non si faceva cultura, ma controcultura: una parola magica, che racchiudeva tutto lo spirito di quell’epoca: uno spirito di contrapposizione, ribelle, contro ogni forma di convenzione. Spirito che guidava l’impegno politico dei giovani di quel tempo, impegnati – forse utopisticamente – per costruire una società nuova, più a misura d’uomo.

Europa post covid-19 (o quasi). Gli anni Sessanta, quei lunghi anni Sessanta che studiamo all’università, che cosa ci hanno lasciato? Quale eredità? Per capire il tempo presente dobbiamo studiare quel passato non così lontano da noi. Sicuramente è rimasto il consumo delle droghe leggere. Tanto per restare in tema di cannabis, si stima che a New York si consumino 77 tonnellate l’anno di marijuana. New York detiene – come città – il record mondiale. Anche l’Italia è ai primi posti della classifica mondiale per il consumo di cannabis. A Roma si stima che se ne fumino 14 tonnellate l’anno, a Milano 6. Ma la nostra generazione, contrariamente a quella degli anni Sessanta (e per fortuna) non ha conosciuto le droghe pesanti: non si muore più per droga a 27 anni come Jimi Hendrix, Gim Morrison, Janis Joplin, ma nemmeno si fa più musica come quella degli anni 60. La polizia non picchia e non spara più né in Italia né Europa né in America, come invece accadeva negli anni Sessanta. Non ci sono nemmeno più le rivolte nelle università. Non ci sono più le grandi manifestazioni con migliaia di giovani in piazza a protestare contro tutti e contro tutto: oggi le proteste viaggiano sui social e sono decisamente innocue. Il sistema invece è sempre lo stesso: il potere logora tutti – tanto per parafrasare un longevo politico italiano, Giulio Andreotti – eccetto chi lo detiene. Ovvero cambiano i timonieri, ma non la rotta della nave. Noi giovani dell’era del covid siamo decisamente meno “pericolosi” di quelli degli anni Sessanta: la nostra è la generazione dei pop corn, fumatrice sì ma soprattutto “fumosa”. E’ come se il tempo avesse sbiadito ideali e ideologie, è come se avesse spento gli animi forti, sopito la voglia di combattere. Studiando quegli anni, e rapportandoci all’oggi ossia al mondo in cui viviamo, ci rendiamo conto che molte cose sono cambiate, e parecchie sicuramente in meglio. Non ci sono più quei mitici movimenti per i diritti civili perché – finalmente – dopo quegli anni di feroci battaglie, molti i diritti civili sono stati riconosciuti: non sempre e non ovunque, ma sicuramente più di prima. Eppure, se e quando studierete quei lunghi anni Sessanta, vi accorgerete che oggi manca qualcosa. C’è qualcosa che è andato perso nel fluire del tempo, fra le pagine della storia. Qualcosa che i giovani degli anni Sessanta avevano e che noi non abbiamo più. E che forse dovremmo ritrovare. Dentro noi stessi. Ecco perché quei lunghi anni Sessanta vanno studiati: per capire perché siamo passati dalla marijuana ai pop corn.