Nonostante si trovi in pianura, ai bordi del mite Lago d’Iseo, è possibile considerarla la valle più fredda d’italia. A causa di un curioso ed unico fenomeno naturale, la temperatura del suolo non superare mai 3-4 gradi centigradi anche quando in estate ad un solo metro da terra si registra un caldo torrido a 30 gradi centigradi. Il freddo del suolo è talmente intenso e permanente che su di esso crescono spontaneamente le stelle alpine, che normalmente si trovano solo su rilievi ad almeno 1500 metri di quota: la stella alpina sarebbe il fiore di alta montagna per eccellenza, ma anche di pianura, se consideriamo la valle più fredda d’Italia.
In questo luogo infatti le stelle alpine proliferano naturalmente rompendo gli schemi della natura, ma non solo: in un tale clima proliferano anche genziane, erba dei camosci, sassifraghe, rododendri ed altre specie tipicamente montante per un totale di 36 differenti piante vegetali.
TRA I COMUNI DI LOVERE ED ENDINE
Questo particolarissimo luogo si trova davvero in un posto insospettabile sul brevissimo tratto di strada che porta dal comune di Lovere, sul lago d’Iseo, a Endine, che dà il nome ad una altro famoso lago a pochissimi chilometri da Brescia. É proprio in questo bellissimo ambiente lacustre, meta di villeggiatura per il suo clima temperato, che, sulle pendici del Monte Clemo, la cui vetta si trova a poco più di 700 metri di altitudine e dalla quale si gode una bellissima vista sul lago e sulle valli circostanti, che la natura ha tenuto nascosti i suoi segreti, proprio sotto gli occhi di tutti: nemmeno la popolazione locale si era posta domande circa il particolare ambiente botanico, anche se la strana caratteristica della valle aveva creato nei secoli varie leggende sulla natura di quel curioso e circoscritto fenomeno freddo sulle sponde del lago d’Iseo.
SCOPERTO PER CASO
Fu solo nel 1939 che, Guido Isnenghi, appassionato di botanica di passaggio nei pressi del Laghetto di Gaiano, notò per caso sul cappello di un cacciatore locale una stella alpina che sembrava appena colta. L’attento osservatore della natura trovò la cosa impossibile, dato che le montagne abbastanza alte più vicine si trovano a centinaia di chilometri di distanza e considerato che a quei tempi i viaggi erano meno veloci dei giorni nostri, decise così di interrogare il cacciatore scoprendo che il fiore proveniva incredibilmente dalla valletta adiacente. Proprio visitando il luogo Isnenghi scoprì il singolare fenomeno naturale permettendo la diffusione della notizia tra i maggiori botanici italiani da lui avvertiti e che produsse un interesse generale che incrementò sempre più le visite scientifiche alla zona. Quando nel 1962 fu presentato all’VIII Congresso dei Gruppo italiano biogeografi a Brescia, una monografia frutto dei primi studi sulla caratteristica flora del luogo dal titolo “Valle del Freddo”, questo nome ha da allora via via sostituito l’antico toponimo locale, dominato da leggende infernali, ormai dimenticate del tutto.
SALVATA DALLA DISTRUZIONE
A seguito di questi primi studi e di quelli successivi che negli anni ’60 vennero emanati due decreti prefettizi per la salvaguardia della flora di tutte le campagne del Monte Clemo che però non riuscirono a prevenire un tentativo di sfruttamento della particolare struttura e composizione dei terreno producevano. Così, dopo l’apertura di due cave che minacciavano di distruggere completamente il luogo, nel 1973 furono i cittadini di Endine, Sovere e Solto a dover intervenire in prima persona, costituendo un’associazione locale, il Nucleo ecologico Alta Valle Cavallina. L’associazione ben determinata a fermare la distruzione del fenomeno protestò così efficacemente e rumorosamente da riuscire a convincere la Giunta regionale della Lombardia a decretare nel 1976 la definitiva chiusura delle attività di estrazione salvando così la Valletta.
IL MISTERO DEL FREDDO
Come questo fenomeno di grandissimo valore scientifico si produca è stato per molto tempo un mistero, con fantasiose spiegazioni. Oggi però abbiamo una ormai consolidata spiegazione geomorfologica di come il clima a livello del terreno rimanga estremamente rigido durante tutto l’anno attraverso l’emissione naturale in estate di aria ghiacciata proveniente dall’interno del monte adiacente, che restituisce quella fredda assorbita in inverno. Qualcosa di diametralmente opposto a quello ben più conosciuto delle acque di laghi e mari che si riscaldano d’estate per restituire calore in inverno. Questa sorta di strano e naturale impianto di condizionamento del terreno è dotato di numerose bocche poste tra i massi della valle che, unite alla natura particolare del suolo molto simile a quello calcareo dolomitico, ricrea esattamente le condizioni presenti in alta quota durante tutto l’anno permettendo la crescita di specie che altrimenti non potrebbero sopravvivere.
LA SPIEGAZIONE SCIENTIFICA
Questa particolare conformazione geologica si associa alla disposizione delle pietre nel terreno facendo comportare la valle come una sorta di gigantesco polmone nel quale l’aria circola lungo direttrici sotterranee complesse e obbligate poste tra le due fasce di territorio non ricoperto dalla vegetazione. Durante la stagione invernale, in questo ambiente si stabiliscono delle correnti di aria ascendenti, attraverso il risucchio dell’aria gelida presente nella valle nella montagna (il cui interno è notevolmente più caldo) fino alla cima e provocando così il richiamo dal basso di altra aria fredda. Questa corrente abbassa la temperatura delle pietre all’interno del monte fino a portarle a temperature bassissime e generando una sorta di riserva di freddo. A primavera, le acque provenienti dal disgelo e dalle piogge, penetrando attraverso la coltre erbosa, entrano in contatto con le pietre freddissime trasformandosi in ghiaccio che viene poi protetto dalla stessa coltre erbosa generando un deposito naturale di ghiaccio nel terreno. Successivamente l’aumento della temperatura esterna interrompe il fenomeno ed il ghiaccio resta immagazzinato per essere restituito durante l’estate quando l’aumento della temperatura stabilisce una inversione del moto circolatorio dell’aria che questa volta discende fino alla valle per uscire dagli stessi piccoli spazi tra le pietre. In questo percorso, il contatto con la ghiacciaia naturale presente nel terreno raffredda l’aria calda che diventando sempre più pesante, scende a valle richiamando altra aria dall’alto in una corrente fredda che si propaga nel fondo valle.
LA SFIDA DEL DIAVOLO
Se questo è ciò che oggi sappiamo e comprendiamo, nel passato l’incapacità di trovare una spiegazione plausibile all’immaginario collettivo ha determinato la nascita di molte storie e leggende, nelle quali, a causa del freddo glaciale in ambiente temperato, ovviamente il diavolo la faceva da padrone, tanto che il posto era chiamato Valle del Diavolo o anche Valle dei Mat Búnadol. Una di queste storie unisce il freddo della valle a due massi erratici presenti nella zona di Pratilunghi e Possimo e vede il diavolo impegnato in una sfida contro Dio i cui esiti sarebbero ancora visibili in tutta la zona, fra stelle alpine e genziane.
Secondo questa leggenda Satana, volendo sfidare Dio, lo invitò sulla cima dei Monte Clemo e dopo avergli mostrato la vista sulla Valcamonica, l’Adamello, la Valle Borlezza, la Presolana, le Cavallina ed i bacini del lago di Endine, del Lago d’Iseo e Montisola fino alle colline Franciacorta, gli propose una gara nella quale il vincitore avrebbe avuto il dominio pieno delle anime che popolavano le quattro vallate sottostanti. Per ottenere ciò avrebbero dovuto lanciare il più lontano possibile uno di quegli strani grossi massi rossastri che si trovano sparsi ovunque sui pascoli del Monte Clemo. Satana, quale sfidante, lanciò per primo e la sua pietra cadde su un colle nella località di Pratilunghi, proprio di fronte alla Valle dei Freddo, rompendosi in quattro parti ed andando a formare una struttura simile ad un dolmen. A sua volta, Dio lanciò con forza ed il masso andò a cadere oltre la valle sui prati di Possimo, vincendo di misura la gara con il demonio che montò su tutte le furie picchiando a terra il tallone con così tanta forza da da spezzare la montagna che lo inghiottì facendolo cadere nelle viscere degli inferi.
Della sfida rimasero sul posto i segni: i massi di Pratilunghi e Possimo e la Valle del Diavolo formata dalla ferita nel terreno che lo aveva inghiottito che, da allora, trasuda il respiro gelido dei dannati. Le grosse pietre citate nella sfida sono due massi erratici trasportati da un antico ghiacciaio e depositati nell’area, furono evidentemente notati dalla popolazione perchè sono completamente differenti dalle pietre circostanti, essendo costituiti per lo più da arenarie di colore rossastro provenienti dalla media Valcamonica, ed hanno la forma arrotondata e levigata dall’azione dei ghiacciaio che li aveva trasportati.
Nella tradizione popolare la valle così fredda e le due grandi e curiose pietre erano stranezze facilmente accostabili al freddo del terreno della valletta, così da alimentare questa leggenda che ha dato il nome non solo alla valle, ma anche alle pietre, infatti il masso più distante, che si trova a Possimo, è ancor oggi chiamato “Plok del Signur”.
I sassi, le bocche che trasudano vento gelido e l’enorme spaccatura che separa il Monte Clemo dal Monte Nà sono stati così temuti fino a pochi decenni fa, da far considerare l’intera area una specie di posto stregato dove era sconsigliato avventurarsi, in special modo alle giovinette, e dove solo qualche coraggioso cacciatore osava avventurarsi, alimentando in questo modo almeno un’altra mezza dozzina di leggende che parlano di demoni, streghe ed esseri mostruosi abitanti la valle.
NATURA INCONTAMINATA
Comunque sia, il diavolo, le streghe e le leggende sono state in passato un importante contributo alla salvaguardia della natura del posto che ne hanno permesso la conservazione nei secoli essendo più temute di leggi e decreti. Oggi il posto è riserva naturale protetta e si può attraversare su di un facile percorso che porta fino alla cima del monte, dalla quale la stessa vista mostrata da Satana a Dio nella leggenda produce nella realtà ai passanti sensazioni di benessere difficilmente riscontrabili altrove. Ovviamente un simile patrimonio naturalistico deve essere conservato al meglio, le stelle alpine sono protette ovunque ed a maggior ragione in questo posto, dove tutta la flora alpina residente oggi ha teme un solo nemico: l’uomo che con l’inquinamento, lo sfruttamento della natura e l’incuria la distrugge piano piano.
Per info Riserva naturale valle del freddo
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