Israele e palestina, conflitto senza fine

LE GUERRE ARABO-ISRAELIANE, IL TERRORISMO, IL LIBANO, L'INTIFADA, I TERRITORI OCCUPATI

Assodato il diritto di tutti i Popoli di vivere pacificamente, e di tutte le religioni di coesistere nei luoghi e nelle terre ove sono nate, perché in Medio Oriente c’è sempre la guerra? Una guerra che ha generato il terrorismo, una guerra che nasce dal conflitto fra arabi e israeliani, cioè fra palestinesi (che sono arabi) e Stato di Israele.

Il conflitto arabo-israeliano, che da oltre cinquant’anni ha trasformato la terra di Palestina – e non solo – in un campo di battaglia permanente, è un prodotto tragico del nazionalismo, inserito in un contesto di forte conflittualità religiosa.

Israele, stato indipendente, viene costituito il 14 maggio 1948, ma nasce con con la risoluzione ONU 181  che prevedeva la formazione in Palestina di uno Stato Arabo e di uno Stato Ebraico. La nascita dello Stato di Israele si rende necessaria per consentire il ritorno nel dopoguerra, cioè dopo la shoah, il nazismo e i campi di sterminio, di moltissimi ebrei nella loro terra di origine. Nel 1948 con la fondazione dello Stato ebraico si concludono quindi secoli di diaspora per questo popolo, culminati appunto con la shoah. Gli Ebrei capiscono che devono tornare alla propria terra per diventare, finalmente, un popolo come gli altri, senza essere disprezzati dal resto del mondo, senza emarginazione, come hanno affermato i padri del sionismo (sionismo = movimento per la creazione e l’autodeterminazione di uno stato ebraico). In realtà la presenza ebraica nella terra d’Israele non era mai sparita del tutto malgrado le persecuzioni. A Hebron e a Gerusalemme, così come nella zona del Lago di Tiberiade, erano sempre vissute piccole comunità di Ebrei. Alla fine della II guerra mondiale, molti ebrei sopravvissuti tornano quindi in terra d’Israele.

La nascita dello Stato d’Israele, ed è subito guerra

La risoluzione ONU 181, nel dopoguerra, prevede quindi, in Palestina, la creazione di due Stati: uno arabo palestinese e uno ebraico palestinese. Gli Arabi rifiutano immediatamente questa risoluzione, si oppongono in sede ONU e dichiarano guerra al futuro Stato ebraico. Per gli Ebrei, invece, è un momento di esultanza: dopo quasi duemila anni, hanno di nuovo una patria. Il 14 maggio del 1948 David Ben Gurion, primo ministro del nuovo Stato, proclama ufficialmente la nascita dello Stato d’Israele. Quello stesso giorno le armate arabe di Siria, Giordania, Egitto e Iraq attaccano il paese. Comincia così la prima di una serie di guerre che Israele si trova a combattere contro un fronte arabo deciso a eliminare questa presenza dalla carta geografica. Il primo conflitto si concluderà l’anno dopo, con il successo di Israele che oltre a vincere la guerra allarga i suoi confini rispetto a quanto stabilito dalla risoluzione ONU: Israele si estende a tutta la fascia costiera sul Mediterraeo (eccetto la striscia di Gaza che resta araba), occupa la Galilea (che secondo la risoluzione ONU doveva essere assegnata ai palestinesi) e Gerusalemme che sarebbe dovuta restare “zona internazionale”. Israele esce quindi vincitore da questo primo conflitto, esploso il giorno stesso in cui nasceva il nuovo Stato. Un milione di palestinesi fuggono o vengono espulsi, trovando rifugio nella Cisgiordania, una regione a ovest del fiume Giordano sotto il controllo della Giordania. Passano gli anni e Israele si arma: uomini sempre più addestrati alla guerra e attrezzature belliche di primissimo livello. Passano gli anni, ma non passa il clima di tensione fra arabi e israeliani.

Suez nel 1956 e la guerra dei sei giorni nel 1967

La mappa pubblicata dalla BBC per visualizzare gli esiti della guerra dei 6 giorni

Il secondo conflitto impegna Israele nel 1956, quando il capo di Stato egiziano Nasser si vede negare dalla Banca Mondiale i fondi per la costruzione della diga di Assuan, che avrebbe regolato le piene del Nilo e consentito l’irrigazione e lo sviluppo agricolo nella regione. Per ritorsione, l’Egitto nazionalizza il Canale di Suez, opera che pur essendo collocata fisicamente in territorio egiziano, è internazionale, in quanto consente il libero transito delle navi e delle merci. Nazionalizzare il Canale di Suez significa porre un vincolo al commercio internazionale, per il quale – a quell’epoca – Suez ha una funzione strategica. Israele interviene militarmente occupando il Sinai e arrivando fino al Canale e il conflitto coinvolge anche Francia e Gran Bretagna. Ma Usa e Urss condannano l’azione militare e costringono Israele, Francia e Gran Bretagna a ritirarsi e Israele rientra nei propri confini. Il canale rimane sotto il controllo egiziano. Un successo per Nasser.

Passano gli anni e nella regione la tensione cresce. I Paesi arabi che circondano Israele fanno pressione. Dalla Giordania vi sono infiltrazioni palestinesi e scontri sul confine (Cisgiordania). Dalla Siria analoghe azioni ostili. Israele attua rappresaglie violentissime. L’Egitto a sud non può stare a guardare detenendo la leadership del mondo arabo, ammassa truppe nel Sinai e contemporaneamente blocca le navi israeliane nel golfo di Aqaba (Mar Rosso) per impedire lo sviluppo dell’attività portuale israeliana nel piccolo lembo di terra che si affaccia a sud, sul golfo di Aqaba. Tutte azioi che preludono ad una invasione di Israele, come nel 1948. Cresce intanto la cultura della jihad, la guerra santa contro Israele e successivamente contro gli Usa, principali alleati di Israele, e i Paesi Occidentali, cresce la retorica da parte dei leader arabi della distruzione totale di Israele. Nel 1967 Israele attua quindi un attacco preventivo: in 6 giorni occupa il Sinai, la Cisgiordania, Gaza, le alture del Golan in Siria e la parte araba di Gerusalemme. Una azione militare che sbaraglia le forze arabe. L’aviazione israeliana in poche ore elimina bombardando sul campo le aviazioni di Egitto, Giordania e Siria: si tratta di una azione di bombardamento permanente con turn-around dei caccia di mezzora. Eliminate le forze aeree avversarie, lo scontro si sposta quindi sul campo. La guerra dei sei giorni porta Israele alla conquista dei cosiddetti Territori Occupati (e cioè Sinai, Cisgiordania, Gaza, alture del Golan e parte araba di Gerusalemme – che restano a Israele), dove vengono successivamente creati anche insediamenti ebraici. Oltre un milione di palestinesi rimane “intrappolato” in quanto si erano rifugiati in Cisgiordania dopo la guerra del 1948, ma ora la Cisgiordania è occupata ed è sotto il controllo di Israele.

Dall’Olp al settembre nero e al massacro di Monaco.

Nel 1969 nasce l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) sotto la guida di Yasser Arafat che ha un esercito di feddayin, cioè di guerriglieri arabi. Ha base in Cisgiordania, che fino a prima delle guerra dei 6 giorni era dominio giordano e ora è occupata dagli Israeliani. Qui è rimasto intrappolato un milione di palestinesi e altri invece hanno trovato rifugio a est del fiume Giordano, nel territorio della Giordania. All’inerno dei campi profughi sono nascosti anche i feddayin, i guerriglieri fondamentalisti. Re Hussein di Giordania teme che uno degli obiettivi dell’OLP sia rovesciare la sua monarchia per instaurare una repubblica araba. Pertanto nel mese di settembre del 1970 (il settembre nero) ordina all’esercito di cacciare tutti i palestinesi dalle terre della Giordania e con i profughi caccia anche feddayin, i guerriglieri palestinesi. Un’onda umana che si trasferisce prevalentemente verso il Libano. Per trovare una terra dove sopravvivere. Un’illusione.

Il 1972 è l’anno del massacro alle olimpiadi di Monaco. Il 5 settembre un commando di guerriglieri palestinesi fa irruzione negli alloggi israeliani del villaggio olimpico, prendendo in ostaggio gli atleti della squadra olimpica israeliana e uccidendone due. Quando le trattative falliscono, le truppe speciali assaltano il commando: nel conflitto rimangono uccisi cinque feddayin e tutti gli ostaggi israeliani.

La guerra del Kippur

Il 6 ottobre 1973 inizia la cosiddetta guerra dello Yom Kippur. Egitto e Siria cercano la rivincita dopo la sconfitta della guerra dei 6 giorni e a sorpresa attaccano Israele durante la festa ebraica del Kippur. Quella dello Yom Kippur è la più grande guerra combattuta in Medio Oriente fino a quella del Golfo e porta alla crisi petrolifera del 1973, un embargo delle esportazioni di petrolio da parte dei Paesi arabi, che chiude le forniture ai Paesi occidentali e che aggrava molto la crisi economica di quegli anni. Alla base del conflitto c’è uno dei problemi ancora attuali e irrisolti nella questione israeliana, cioè i Territori Occupati: quei territori che Israele aveva conquistato durante la Guerra dei 6 giorni: il Sinai, le alture del Golan a nord, la striscia di Gaza e la Cisgiordania, cioè quella parte di Giordania a occidente del fiume Giordano, e Gerusalemme est (attenzione: tranne il Sinai, che viene restituito all’Egitto dopo la guerra del Kippur, questi territori nel 2019 sono territori sotto controllo di Israele). La guerra è decisa da Anwar Sadat, capo di Stato egiziano, e Hafez al-Assad, capo di Stato siriano, padre dell’attuale dittatore, Bashar al-Assad. Entrambi i Paesi si trovano in una grave situazione economica, osteggiati dalle minoranze religiose interne (in particolare dai Fratelli musulmani in Egitto) e spinti dai ceti più istruiti e nazionalisti, cioè la base del loro consenso, a riprendere i territori sottratti da Israele con la guerra dei sei giorni. Sadat e Assad prendono dunque la decisione di un attacco a sorpresa contro Israele. La data scelta per l’attacco è il 6 ottobre, giorno dello Yom Kippur, la festa più solenne del calendario ebraico, durante la quale i fedeli devono praticare la preghiera e il digiuno. L’attacco coglie di sorpresa tutto l’esercito israeliano, causando gravi perdite. Da ovest gli egiziani oltrepassano subito il canale di Suez che divide il Sinai occupato da Israele e nel primo giorno di ostilità portano 100 mila uomini e circa 1500 carri armati sulla sponda israeliana del Sinai. Lo stesso successo lo ottengono i siriani, che riescono ad occupare le alture del Golan nel primo giorno di combattimenti. Gli israeliani all’epoca vivevano nel mito della “guerra dei sei giorni” e della capacità dell’esercito (e in particolare della sua aviazione, dotata di moderni aerei americani) di poter fermare, in anticipo, qualunque tentativo di invasione. Ma i missili antiaerei sovietici – i SAM, gli stessi che in Vietnam abbatterono l’aereo dell’ex candidato alla presidenza John McCain – annullano il vantaggio dell’aviazione israeliana, costringendo Israele a combattere una sanguinosa guerra di terra. Soprattutto nei primi giorni, le perdite israeliane sono gravissime. I carri armati israeliani vengono lanciati contro le divisioni egiziane e siriane nel disperato tentativo di rallentarne l’avanzata mentre il resto dell’esercito viene mobilitato. Moltissimi carristi israeliani sono uccisi dalle nuove armi anticarro che i sovietici avevano fornito ai 2 Paesi in guerra antagonisti di Israele. Per qualche giorno agli Israeliani sembra che la guerra possa portare alla sconfitta e, forse, alla fine del loro Stato. Nel giro di una settimana, però, l’esercito israeliano riesce a riorganizzarsi e a sfruttare la sua superiorità organizzativa e tecnologica. Le alture del Golan vengono quindi riconquistate e il 14 ottobre, dopo una settimana di combattimenti durissimi, i primi carri israeliani entrano in territorio egiziano. Le ostilità terminano definitivamente il 28 ottobre, quando ormai le divisioni israeliane sono pronte a puntare sul Cairo. In 22 giorni di combattimenti si contano circa 15 mila soldati egiziani morti, poco più di duemila israeliani, e quasi 40 mila feriti. Nonostante la sconfitta finale, i successi dell’esercito egiziano contribuiscono a ridare fiducia ai nazionalisti egiziani, che discutono la pace alla pari con Israele, riuscendo ad ottenere la smilitarizzazione del Sinai. Nonostante la fiducia riacquistata, molti leader arabi si convincono che Israele non può venire battuta militarmente e questo, secondo gli storici, dà un grosso impulso alle trattative di pace. In particolare, l’Egitto comincia a normalizzare i rapporti con Israele che consentono di arrivare nel 1978 agli accordi di Camp David, fra Begin (Israele) e Sadat (Egitto) con la mediazione del Presidente Usa Jimmy Carter. Il trattato di pace prevede il riconoscimento di Israele da parte dell’Egitto in cambio della restituzione del Sinai all’Egitto. Due le conseguenze dell’accordo di pace: 1. l’espulsione dell’Egitto dalla Lega Araba (durata fino al 1989); 2. l’assassinio di Sadat nel 1981 in un attentato rivendicato dai fondamentalisti islamici che lo accusavano di aver tradito la causa, riconoscendo Israele.

Al termine della guerra del Kippur i paesi produttori di petrolio, in risposta all’aiuto americano concesso ad Israele, avviano un embargo verso gli Stati Uniti e l’Europa. Il prezzo del petrolio aumenta del 400% e questo causa la crisi energetica del 1973 con effetti persino in Italia, segnando la fine del lungo periodo di rapida crescita economica cominciato negli anni ’50 (età dell’oro).

Le superpotenze nel frattempo si sono schierate: Israele in quegli anni viene supportato militarmente ed economicamente dagli Usa, mentre i Paesi arabi come Siria, Giordania, Egitto hanno il supporto militare (forniture, armi e addestramento) dell’URSS.

I tragici anni Ottanta: il Libano e le stragi nei campi profughi

Negli anni Ottanta, il teatro principale degli scontri è il Libano, dove si erano rifugiati a partire dagli anni 70 (cioè dopo il settembre nero) circa 200.000 profughi palestinesi fra cui centinaia di palestinesi armati e decisi a sostenere in grande scala azioni terroristiche e militari contro Israele. Questo esercito di feddayin è inserito all’interno dei capi profughi palestinesi, in mezzo alla popolazione civile, donne e bambini. In Libano da qualche anno era scoppiata una tragica guerra civile fra musulmani e cristiani (e altri gruppi minori) guerra civile in cui Siria e Israele stavano pesantemente contribuendo per assicurarsi il controllo del Paese. A metà degli anni 70 la Siria invade il Libano. All’inizio del 1980 anche Israele invade il Libano meridionale. La risposta ad Israele arriva con la nascita di un movimento politico musulmano in Libano, Hezbollah, il Partito di Dio (sciiti), il quale – appoggiato da Siria ed Iran – si contrappone a Israele e compie violentissime azioni terroristiche (autobombe a Beirut in cui muoiono 241 marines Usa e 58 paracadutisti francesi) e attacchi contro Israele dalle alture del Golan. L’obiettivo: cancellare lo Stato di Israele.

Tre i movimenti fondamentalisti e integralisti che nascono e operano in questi anni, con l’unico scopo di cancellare lo Stato di Israele. Tutti e 3 operano con azioni terroristiche, azioni militari e sono composti da una parte politica e un braccio armato:

  • Hamas, che opera in Palestina in contrapposizione con l’OLP di Arafat. Utilizza i kamikaze negli attentati degli anni Novanta
  • Hezbollah, che opera in Libano ed è una milizia sciita
  • Jihad islamica, che si rifà alla jihad opera anch’esso in Palestina

Il programma politico ed economico di Hezbollah in Libano è straordinario, come del resto quello di Hamas a Gaza in Palestina: un progetto sociale di supporto delle popolazioni afflitte dalla guerra civile libanese e un progetto assistenziale, basato sulla tutela dei diritti fondamentali come istruzione, sanità, lavoro, sicurezza sociale, ma anche basato nella rigida applicazione della Sharia e del Corano e quindi sulla regolamentazione dei costumi e in generale un forte conservatorismo religioso applicato alle leggi.

Intanto il Libano, dove Hezbollah ha stabilito le proprie basi da cui partono gli attacchi terroristici in Medio Oriente, sprofonda nella guerra civile fra musulmani da una parte e cristiani dall’altra. All’interno della guerra civile si inserisce sempre di più l’occupazione del Libano da parte di Israele che intende attaccare le basi di Hezbollah e dei feddayin da cui partono le azioni terroristiche in Galilea. All’occupazione israeliana si contrappone l’occupazione del Libano da parte della Siria. In questo contesto di atrocità e violenze, l’Onu invia truppe che però non fermano i massacri dei campi profughi di Sabra e Shatila, nella zona libanese occupata dagli Israeliani, dove nel 1982 i miliziani cristiani massacrano centinaia di profughi palestinesi a sangue freddo, soprattutto donne e bambini.

Anni 90, gli anni dell’intifada

Gli anni successivi sono caratterizzati dall’intifada. Nei territori occupati (Gaza, Cisgiordania, alture del Golan, Gerusalemme) nasce un movimento palestinese contro Israele: è un movimento di rivolta, appunto di intifada, di lanci di pietre contro l’esercito, di bandiere che bruciano durante le manifestazioni di piazza, e poi negli anni Novanta di attentati terroristici e in particolare di attentati kamikaze: giovani palestinesi si imbottiscono di esplosivo e si fanno saltare in aria alle fermate degli autobus degli israeliani, causando decine di morti. La regia è di Hamas.

In questi anni si rafforzano infatti sia il movimento palestinese di Hamas, cioè il braccio armato dei palestinesi responsabile di molteplici attentati contro Israele, e la Jihad Islamica, entrambi uniti nella guerra santa contro l’Occidente e cioè contro il “grande satana” (gli Usa) e i sionisti (Israele), nonché i loro alleati. I movimenti fondamentalistisi rafforzano perché all’inizio degli anni Novanta l’OLP di Arafat e Israele con Rabin cercano una pacificazione. Il processo di pace: nel 1993 davanti a Bill Clinton c’è la storica stretta di mano fra Rabin e Arafat. Israele riconosce l’OLP come rappresentante del popolo palestinese e OLP riconosce lo Stato di Israele. Gli estremisti di entrambe le parti rifiutano però l’accordo, stipulato a Oslo (processo di pace e accordi di Oslo). Hamas inasprisce quindi le azioni terroristiche, contrapponendosi ad Arafat che viene isolato sempre di più fino a perdere di fatto la sua leadership. E Rabin viene assassinato da un estremista israeliano. In Israele si afferma quindi il partito conservatore Likud che ostacola radicalmente il processo di pace, prima con Netanyahu e poi con Sharon. Inizia una spirale di violenza fatta di attentati terroristici da parte di Hamas e azioni militari punitive da parte israeliana con bombardamenti di campi profughi e centianaia di morti fra i civili. Israele inoltre inizia la costruzione del muro attorno alla Cisgiordania per controllare ogni spostamento verso i territori israeliani e impedire ai terroristi di entrare in Israele e di bloccare quindi gli attacchi kamikaze. L’escalation di violenza è alimentata dalle ali estremiste sia israeliane (i falchi del Likud e della destra) che palestinesi (Hamas, che emargina e discredita sempre più Arafat e il suo partito Al Fatah).

Nuovo millennio, operazione piombo fuso

Nel 2005 Israele si ritira dalla Striscia di Gaza, e l’Autorità Palestinese accetta di andare nella direzione di una pacifica, benché sofferta, coesistenza di due Stati nella regione, ammettendo “controvoglia” la presenza di Israele. In realtà si tratta di due mondi completamente diversi, inconciliabili: gli israeliani sono ormai uno Stato forte, ricco, legato all’agricoltura, alla produzione di beni di alta qualità, i palestinesi sono per lo più segregati in campi di raccolta (campi profughi), vivono nell’indigenza, in una povertà latente, privi di speranza e di futuro. La striscia di Gaza, concessa ai palestinesi e all’Autorità Palestinese di certo non soddisfa le esigenze di questo popolo, e nemmeno la convivenza a Gerusalemme di palestinesi ed israeliani (Gerusalemme, città simbolo per entrambe le parti, è contesa). Resta infine aperta la questione dei territori occupati (Cisgiordania e alture del Golan) dove la presenza militare di Israele è necessaria per assicurare un perimetro di sicurezza contro pericolose infiltrazioni.

A seguito del ritiro di Israele da Gaza si registrano provocazioni da ambo le parti e pretesti per proseguire lungo la spirale di violenza, che ha una escalation di attacchi con razzi dalla striscia di Gaza verso Israele. Le forniture di armi arrivano via mare (Gaza si affaccia sul Mediterraneo). In risposta nel 2009 Israele lancia l’operazione piombo fuso contro le postazioni di Hamas a Gaza provocando più di mille morti fra i civili.

I territori palestinesi in Israele

Luglio 2014 – Questa “convivenza impossibile” è confermata anche dall’operazione “Margine di protezione” dell’8 luglio 2014: l’operazione è condotta dall’esercito di Israele nella Striscia di Gaza. L’obiettivo del governo di Tel Aviv è trovare i tunnel attraverso i quali i combattenti di Hamas passano di nascosto dalla Striscia di Gaza al territorio israeliano per compiere attentati terroristici, evitando i controlli delle forze di sicurezza, e quindi di assestare un duro colpo ad Hamas e garantire la sicurezza del proprio territorio. Israele lancia l’offensiva l’8 luglio, pochi giorni dopo la scoperta dei cadaveri di tre ragazzi israeliani rapiti e uccisi in Cisgiordania (un pretesto). Ai raid aerei e ai bombardamenti, Tel Aviv affianca un’offensiva di terra, mentre Hamas continua il lancio di razzi verso il territorio israeliano.

La Striscia di Gaza è amministrata da Hamas. Si trova sulla costa del Mediterraneo al confine con l’Egitto. Ha una superficie di 360 chilometri quadrati ed è abitata da circa 1,7 milioni di persone. Questa la situazione a ottobre 2014.

La striscia di Gaza (immagine tratta da Google dove non è stato possibile risalire all’autore per il copyright)

Conclusioni e analisi

Fra i leader degli ultimi anni, un ruolo centrale l0 hanno svolto Benjamin Netanyahu premier israeliano appartenente al Likud, partito di destra, fautore di una politica di occupazione armata e una sottomissione dell’autorità politica palestinese. Dall’altra parte Yasser Arafat, fondatore e guida dell’Olp morto nel 2004. Suo successore è stato Abu Mazen leader del partito Al Fatha (i moderati palestinesi) affiancato dall’altro partito importante e vincitore delle ultime elezioni palestinesi: Hamas, che è anche braccio armato dei palestinesi.

La presenza ai vertici istituzionali di Israele e dei territori palestinesi dei due partiti estremisti e fautori dello scontro rende molto difficile la risoluzione del conflitto e la conclusione di un processo di pace. In caso di un nuovo e definitivo accordo, infatti, sia il Likud che Hamas perderebbero gran parte del consenso elettorale. E’ loro interesse pertanto mantenere la tensione e alimentare lo scontro ogni qualvolta le pressioni internazionali sembrano aprire scenari diversi. E’ questo lo stato dell’arte che inchioda le popolazioni israeliane e palestinesi a un destino apparentemente immodificabile. La storia ci dice però che la questione è politica e non religiosa. Inoltre tenere vivo questo conflitto va a vantaggio di molti: mercato delle armi, signori della guerra che continuano ad avere un ruolo decisivo, gruppi terroristici che colpiscono l’Occidente, Paesi occidentali che rispondono con campagne militari, come quella in Afghanistan e in Iraq, con enormi e indubbi vantaggi per le proprie economie.