Il Regno Unito ha già pagato un conto salato per i 3 anni di non-brexit: ha perso circa 60 miliardi di Pil. Nell’ultimo trimestre 2019 il motore si è spento: a ottobre zero crescita, produzione industriale debole, un’economia a rilento come non succedeva dal 2012. In questo momento non è la brexit a bloccare la crescita e a gravare sull’economia; il vero responsabile di questa crisi è lo stallo sulla brexit.
Se Johnson otterrà una maggioranza in grado di consentirgli tranquilli margini di manovra, l’uscita dalla Ue procederà speditamente, rispettando le scadenze previste. Lo scenario sarebbe ben diverso in caso di vittoria laburista. Corbyn ha promesso di chiedere un rinvio della brexit e un nuovo accordo con la Ue. Se prevalesse Corbyn, leader laburista legato ad una tradizione marxista mai morta, cambierebbe profondamente la struttura stessa del sistema economico che è stato il cuore del liberismo. Se nessun partito raggiungerà la maggioranza assoluta, si apriranno le trattative per la formazione di una coalizione oppure per la creazione di un esecutivo di minoranza. Finora sono dati come favoriti i tories guidati da Boris Johnson, ma il contrasto tra i conservatori e le altre forze politiche britanniche è decisamente forte. L’alleanza che Theresa May fece con il Dup nord-irlandese è difficile da replicare visti i contrasti sul tema caldo della brexit.