Durante la sec0onda guerra mondiale: sostegno Usa contro i giapponesi
Alla vigilia della seconda guerra mondiale, l’Indocina cioè Vietnam, Cambogia e Laos, era colonia francese. Durante la seconda guerra mondiale, l’Indocina subì l’invasione giapponese e in Vietnam nacque nel 1941 il movimento di resistenza di stampo comunista Fronte di Liberazione Vietminh, fondato da Ho Chi Minh intellettuale rivoluzionario e poi capo politico, fine stratega e buon conoscitore della storia. La resistenza contro i giapponesi fu una battaglia portata avanti con l’appoggio degli Usa che fornirono al Vietminh armi e consiglieri militari. Il Vietminh riuscì a respingere l’occupazione giapponese e alla fine della guerra proclamò l’indipendenza del Vietnam, alla presenza dei consiglieri americani alleati.
Dopo la guerra: sostegno Cina contro i Francesi (sostenuti dagli Usa)
La Francia però, che durante il periodo della guerra era occupata contro il nazismo in Europa e aveva quindi trascurato le colonie lasciandole al loro destino, alla fine della guerra tornò militarmente in Vietnam per riprendere il controllo delle sue colonie. Il Vietminh aprì quindi un secondo conflitto per l’indipendenza (dopo quello contro i giapponesi): contro i francesi, potendo contare sull’appoggio economico e militare della Cina di Mao che nel frattempo aveva conquistato il potere in Cina (1949). La guerra in Vietnam si sovrappose a quella in Corea che scoppiò nel 1950 e vide l’impegno degli Usa a fianco delle truppe sudcoreane. Gli Usa non volevano un impegno diretto eccessivo nel Sud Est asiatico pertanto decisero di sostenere con armi e finanziamenti i francesi, lasciando a loro il compito di condurre il conflitto. Gli Usa ex alleati del Vietminh erano dunque passati sul fronte opposto, quello dei francesi, per fronteggiare il rischio del comunismo secondo la dottrina Truman. Infatti, se il Vietminh avesse sconfitto anche i francesi, il Vietnam sarebbe definitivamente diventato un Paese comunista.
Il conflitto fu molto intenso e si concluse nel 1954 con la battaglia di Dien Bien Phu, dove il Vietminh guidato da Ho Chi Minh e dal generale Giap sconfisse i francesi. Le perdite furono enormi per la Francia durante i 9 anni di guerra: oltre 70mila soldati francesi.
La conferenza di pace a Ginevra nel 1954 stabilì l’indipendenza di Laos e Cambogia e divise il Vietnam in due: Vietnam del nord comunista (Hanoi) e il Vietnam del sud filooccidentale separati lungo la linea del 17mo parallelo. Ma il Nord intendeva unificare il Paese e subito iniziò la guerriglia, portata avanti nel Vietnam del sud dai vietcong o guerriglieri comunisti.
1960 – nord e sud in guerra, gli Usa inviano consiglieri militari
La guerra fra nord e sud (i 2 Vietnam) scoppio nel 1960. La conferenza di pace di Ginevra aveva stabilito che, dopo la divisione fra nord e sud, in Vietnam si sarebbero dovute svolgere le elezioni, ma il sud si rifiutò di indirle, temendo una sconfitta da parte dei comunisti. Cominciò quindi la guerra. Gli Usa con Kennedy decisero negli anni successivi l’invio di consiglieri militari, armi e finanziamenti al sud sotto il governo di Diem, un regime corrotto e debole. L’obiettivo era evitare che il Vietnam diventasse comunista e cioè evitare l’effetto domino in Indocina (se il Vietnam fosse diventato comunista, allora anche gli altri Paesi sarebbero caduti sotto l’influenza o russa o cinese).
L’impegno Usa in Vietnam aumentò sempre di più (in modo graduale) in quanto le truppe sudvietnamite non conseguivano risultati significativi, fino a diventare un impegno diretto e coinvolgere sotto le presidenze Johnson e Nixon mezzo milione di soldati americani. Il governo di Diem aveva però anche un fronte interno aperto, quello dell’opposizione al regime. Infatti a causa di corruzione, nepotismo e repressione, il governo Diem era contestato dalla popolazione e ci furono proteste come quella buddista (monaci che si diedero fuoco a Saigon). Gli Usa appoggiarono quindi il colpo di Stato (1963) del generale “Big” Minh durante il quale Diem fu ucciso. Poche settimane dopo fu assassinato Kennedy e il presidente Johnson confermò l’impegno militare Usa, anche perché i governi militari successivi al colpo di stato si dimostrarono ancora più fragili e corrotti di quello di Diem.
1964 Johnson, l’incidente del Tonchino, l’escalation e i bombardamenti
Intanto gli attacchi vietcong si moltiplicavano. Johnson aumentò quindi l’impegno Usa inviando truppe e armi. Ma occorreva un casus belli, per ottenere dal Congresso Usa il mandato per una campagna massiccia. L’occasione fu il (presunto) attacco di unità navali Usa nel golfo del Tonchino.
Nel 1964 vi fu l’escalation del conflitto con molteplici attacchi nei quali l’esercito sudvietnamita subì sempre sconfitte pesanti. Ormai in sud Vietnam i vietcong erano appoggiati direttamente dall’esercito regolare nordvietnamita NVA (north vietnam army), armato e addestrato dai sovietici.
Contemporaneamente la Cina intervenne a sostegno in Cambogia dei Khmer rossi di Pol Pot.
Sempre nel 1964 quindi, a seguito dei fallimenti militari del sud, gli Usa iniziarono bombardamenti contro il nord per indurre Hanoi ad allentare la pressione militare. Le truppe di terra Usa non erano ancora impegnate se non in missioni sotto copertura e dunque non ufficiali.
In risposta i Vietcong attaccarono obiettivi militari Usa, fra cui le basi aree e il governo americano avviò una rappresaglia aerea massiccia contro Hanoi, dando il via all’operazione Rolling Thunder. Furono scaricate più bombe sul Vietnam del nord che sulla Germania durante l’intera guerra mondiale, cioè 860 mila tonnellate, ma con risultati deludenti. I danni infatti furono limitati perché colpivano una società non industriale bensì contadina, rurale, arretrata, capace di risollevarsi in brevissimo tempo. Era sostanzialmente inutile dal punto di vista strategico bombardare i contadini nelle risaie. Inoltre gli armamenti cinesi e russi per la difesa area inflissero gravissime perdite all’aviazione Usa: più di 2.200 fra aerei ed elicotteri furono abbattuti.
Fu così che gli Usa si “impantanarono”, cioè entrarono in un conflitto da cui non potevano uscire se non ammettendo una sconfitta che l’amministrazione americana non poteva permettersi né sul fronte interno né su quello internazionale. Non restava che aumentare il coinvolgimento nella guerra e puntare a piegare Hanoi. Nel 1964 fu inviato in Vietnam il generale Westmoreland, e con lui le truppe di terra. Obiettivo formale (di fronte al Congresso) la protezione della grande base Usa in Vietnam di Da Nang. Iniziò quindi l’escalation militare Usa in Indocina. Con le divisioni di marines, arrivarono la 1° divisione aviotrasportata Cavalleria dell’Aria, 173° divisione aviotrasportata, i paracadutisti della 101° divisione airborne, diverse divisioni di fanteria, mezzi e armi pesanti.
1965-1966 Westmoreland e search and destroy
A Washington prevaleva quindi la linea McNamara – segretario alla Difesa – di un intervento massiccio con l’invio di uomini e mezzi illimitato, sulla base della risoluzione del Congresso dopo l’incidente del Tonchino. Johnson approvava. Il piano di Westmoreland era costruire nella fase 1 una serie di solide basi militari con un imponente sostegno logistico (e ovviamente costi di miliardi di dollari). La fase 2 era l’avvio di missioni di terra search and destroy ovvero hunter-killer cioè caccia ai vietcong nella giungla e sul campo con l’ausilio di elicotteri, con il formidabile appoggio aereo di caccia ed elicotteri d’attacco Apache. Ma i piano non fu un successo, perché:
- i vietcong erano “pesci nell’acqua” cioè mescolati alla popolazione civile nei villaggi rurali e ricevevano costantemente rifornimenti militari e infiltrazioni di guerriglieri e truppe regolari dal nord, lungo il sentiero di Ho Chi Minh che passava da Laos e Cambogia
- dopo un rastrellamento in un’area, ricominciavano le infiltrazioni Impossibile quindi stabilizzarle e mantenere il controllo. Non vi era un fronte definito di guerra. E le truppe Usa erano costrette ad estenuanti e pericolosissime operazioni offensive per bonificare gli stessi territori che venivano subito nuovamente infiltrati
- le leggi internazionali vietavano alle truppe Usa penetrare nei confini di Laos e Cambogia dove si rifugiavano per riorganizzarsi i vietcong e quindi le basi vietcong oltreconfine non erano attaccabili
- l’opinione pubblica americana e il Congresso erano insoddisfatti dei risultati, turbati dalle perdite di giovani americani e dalle enormi spese di guerra, senza che vi fosse in vista un termine o un risultato favorevole. Negli Usa cominciarono negli anni successivi violente contestazioni.
L’impegno sul campo entrò nel vivo fra il 1965 e il 1966 anno in cui marines e altri reparti, considerata l’inefficienza delle truppe sudvietnamite, furono impegnati nel search and destroy (quasi 400 mila soldati Usa). Nel 1967 il numero di soldati Usa sfiorò quota 500mila, mentre a Washington Johnson e McNamara cominciavano a nutrire dubbi e preoccupazioni sull’esito reale della guerra.
Nel 1965 le prime azioni search and destroy furono segnate da sanguinose perdite come quella della landing zone Albany dove il 1° cavalleria dell’aria fu quasi annientato (film con Mel Gibson – We were soldiers). Rastrellamenti e infiltrazioni, rastrellamenti e infiltrazioni…
Reporter di guerra e media – La guerra era seguita dalle tv e dai giornalisti Usa inviati sul campo. Ed entrava nel living room degli americani durante i notiziari. Immagini non in diretta, ovviamente, ma registrate che cominciavano a sconvolgere l’opinione pubblica americana. Sarà poi la guerra del Golfo a portare la guerra in diretta nelle case degli americani e di tutto il mondo con la Cnn e gli altri grandi network. Oltre ai morti americani, c’erano i poveri contadini vietnamiti e l’opinione pubblica si chiedeva che senso avesse una guerra che stava devastando un popolo, per salvarlo dal comunismo.
Le perdite inflitte ai vietcong e all’esercito nordvietnamita furono rilevanti, ma le continue infiltrazioni e gli attacchi alle forze Usa facevano aumentare le perdite di soldati americani e logoravano il morale delle truppe.
1968 Offensiva del Tet e le proteste in Usa
Negli Usa Johnson e in Vietnam Westmoreland annunciarono che i risultati militari lasciavano ormai sperare in un successo americano e nella fine della guerra.
All’inizio di gennaio 1968 il diversivo nordvietnamita: l’assedio alla base sperduta e isolata di Khe San, nel Nord, per liberare la quale il comando statunitense concentrò parecchie forze. E fu un errore, perché il 30 gennaio 1968 scattò l’offensiva del Tet, la più importante festa vietnamita. Furono attaccati contemporaneamente dai nordvietnamiti e dai vietcong città e basi americane nel sud e nel delta del Mekong, e Saigon. Fu colpita e occupata la stessa ambasciata Usa. L’effetto sorpresa fu totale. E l’effetto mediatico altrettanto micidiale. Gli americani videro in tv la guerra, i morti e i feriti americani. Erano sconvolti. L’obiettivo dei viet era quello di una sollevazione popolare che non ci fu. Ma non solo (e alla fine l’offensiva del Tet fu una sconfitta per il nord in quanto l’offensiva fu respinta) ma soprattutto mediatico e politico. Il loro approccio alla guerra era ampio e complesso. Stavano vincendo la guerra entrando nelle case degli americani. Tutti capirono che la vittoria americana era impossibile.
L’offensiva del Tet segnò un punto di svolta militare e politico, destituendo di credibilità sia Westmoreland (che venne sostituito) che Johnson (che in un drammatico discorso alla nazione annunciò che non si sarebbe ricandidato alle presidenziali).
L’anno si chiuse con l’annuncio di Johnson del termine dei bombardamenti sul nord in cambio di un allentamento degli attacchi nel sud. E iniziarono difficili colloqui di pace.
Era il 1968 e nelle università esplodeva la protesta studentesca, che si sovrapponeva alla richiesta “Stop war in Vietnam” e al rifiuto dei giovani americani di partire per la guerra. Solo i “poveri” della gioventù americana partivano perché non potevano permettersi le vie di fuga che evitavano la leva militare (es. università, matrimonio, arruolamento nella guardia nazionale, certificati medici accondiscendenti). E quindi le unità operative di prima linea erano costituite prevalentemente da neri e ispanici.
1968 Nixon e Kissinger
Le presidenziali 1968 videro la campagna elettorale di Richard Nixon basarsi sulla fine della guerra. Nixon vinse la guerra e il suo consigliere per la sicurezza nazionale Henry Kissinger avviò un piano per l’uscita dal Vietnam. La nuova strategia prevedeva una pace onorevole da conseguire fiaccando le forze del nord. Più specificamente:
- Bombardamenti segreti anche in Laos e Cambogia per bloccare i rifornimenti sulla via di Ho Chi Minh
- Stop alle operazioni search and destroy per risparmiare vite di soldati americani
- Caccia segreta ed eliminazione dei vietcong con l’uso di informazioni raccolte sul territorio
- Indurre Urss e Cina a non supportare più il nord, attraverso un’azione diplomatica fra superpotenze
- Continuare a trattare con il governo di Hanoi (anche con trattative segrete)
- Vietnamizzazione cioè consegna di armi e attrezzature al sud e disimpegno progressivo delle forze armate Usa
Sul campo i massacri continuavano (Hamburger Hill) con operazioni di rastrellamento e infiltrazione, attacchi e rappresaglie. E a Washington iniziano imponenti manifestazioni di protesta.
Gli attacchi Usa in Cambogia contribuirono però a rafforzare l’avanzata dei Khmer rossi.
Nel 1969 fu resa pubblica la strage nel villaggio di Mai Lai, dove furono massacrati donne e bambini. Ovviamente era solo uno dei tanti episodi di atrocità, gli altri restavano coperti. Ma la strage nel villaggio di Mai Lai fece ulteriormente crescere la protesta dell’opinione pubblica Usa. Nixon fu costretto quindi a sospendere di nuovo i bombardamenti e ad avviare il ritiro delle truppe, decisioni che fiaccarono ulteriormente il morale delle truppe in prima linea, spesso consumate dalla droga, ove dominavano ormai atteggiamenti di frustrazione e di opposizione netta alla guerra.
E le perdite Usa aumentavano. In totale sfioreranno i 70 mila morti americani e più di un milione vietnamiti.
1972 accordi di pace, vietnamizzazione e fine della guerra 1975
Il ritiro delle truppe e il processo di vietnamizzazione della guerra proseguì fino al 1972 periodo durante il quale l’attività diplomatica Usa su Cina e Urss per la riduzione del sostegno comunista al Vietnam diede i suoi frutti, unitamente al successo della caccia segreta ai vietcong che aveva indebolito l’offensiva comunista e mantenuto quindi in piedi il governo del sud nonostante la sua fragilità e la fase iniziale del disimpegno Usa. Ma per garantire continuità al sud fino al completamento della vietnamizzazione, Nixon riprese i bombardamenti contro Hanoi, sospesi da Johnson al termine del suo mandato. Questa offensiva aerea fu un elemento di forte pressione che consentì di riprendere i colloqui di pace con Hanoi, durante i quali gli americani “tradirono” il sud (secondo il governo di Saigon) accettando la permanenza dell’esercito regolare del nord nel sud Vietnam. Saigon vide chiaramente la minaccia di una catastrofe non appena gli americani avessero abbandonato il Vietnam.
Questo successo nei colloqui di pace diede a Nixon il secondo mandato nel 1972. Ma i colloqui di pace si interruppero di nuovo e Nixon ordinò di nuovo i bombardamenti (Natale 1972) per riportare Hanoi al tavolo delle trattative. Questo consentì di raggiungere gli accordi di pace di Parigi (1973): il graduale ritiro delle truppe Usa con la vietnamizzazione che si concluse nel 1975: Saigon venne conquistata dai nordvietnamiti non appena fu completata l’evacuazione dei civili americani.